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San Mauro Castelverde

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Interoperabilita' e cooperazione applicativa

Una dimensione nuova, con la quale le amministrazioni dovranno necessariamente fare i conti, con l’entrata in vigore del codice della PA digitale, sarà quella della completa e reciproca integrazione in rete. Diventerà infatti obbligatorio garantire, in forma vicendevole, l’accesso alla consultazione, alla circolazione ed allo scambio di dati ed informazioni, nonché l’interoperabilità dei sistemi e l’integrazione dei processi di servizio fra le diverse amministrazioni, anche al fine di assicurare l’uniformità la graduale integrazione delle modalità di fruizione dei rispettivi servizi on line (art. 12). “Interoperabilità” è dunque la parola chiave, che designa la capacità di due dispositivi di operare in cooperazione, soprattutto per quanto riguarda lo scambio di dati. Ciò significa, non solo, che si dovranno adottare standard tecnici di gestione e trasmissione dei dati condivisi con tutto il sistema delle PA - centrali e locali - ma anche che tutte le procedure amministrative dovranno essere conformate a modelli anch’essi comuni. Il Codice definisce i binari entro cui muoversi, ma dietro c’è un progetto ben preciso: è la visione strategica sull’e-Government condivisa tra Stato, Regioni ed Enti locali. Partendo dall’assunto che le tecnologie possono facilitare e semplificare il rapporto tra soggetti diversi, il Governo, in collaborazione con le rappresentanze delle Autonomie locali, ha definito un modello di cooperazione di stampo federalista, cioè incentrato sulle capacità di coordinamento delle Regioni e su una serie di sistemi federati, su base settoriale, relativi ad ambiti come lavoro, sanità, fisco, cultura, ambiente, formazione, eccetera. Tale sistema è stato delineato nel documento “L’e-government per un federalismo efficiente - una visione condivisa una realizzazione cooperativa”, presentato dal Governo nel 2003. Esso prevede che ciascun Ente mantenga la titolarità dei propri dati, che dovrà però rendere disponibili - in certi casi anche in maniera automatica - a qualunque soggetto sia titolato a consultarli e/o utilizzarli. L’infrastruttura che consentirà tutto ciò (art. 50, c. 3) è il Sistema Pubblico di Connettività (SPC), istituito con Dlgs n. 42 del 28 febbraio 2005, e definibile come l’insieme di strutture organizzative, infrastrutture tecnologiche e regole tecniche per lo sviluppo, la condivisione, l’integrazione e la circolarità del patrimonio informativo della PA, necessarie per assicurare l’interoperabilità e la cooperazione applicativa dei sistemi informatici e dei flussi informativi, garantendo al contempo la sicurezza e la riservatezza delle informazioni. Il SPC - erede della Rete unitaria delle PA (RUPA), che collegava in rete le sole amministrazioni centrali - è dunque fatto sia di hardware, che di software. Le varie infrastrutture, coi relativi servizi, sono già in corso di realizzazione su base regionale, mentre l’ultimo tassello, cioè il bando di gara per l’aggiudicazione a più fornitori qualificati dei servizi di connettività e di sicurezza, ha avuto come termine di scadenza lo scorso 20 giugno .Il cuore del SPC è la cosiddetta “cooperazione applicativa”, cioè quella parte che è finalizzata a far dialogare tra loro i sistemi informativi delle amministrazioni. Essa, per garantire l’integrazione delle reciproche informazioni e dei procedimenti amministrativi, si basa sui seguenti principi organizzativi: 1. il modello di cooperazione tra enti deve essere indipendente sia dagli assetti organizzativi che dai sistemi informativi interni degli enti stessi; 2. ciascuna amministrazione, anche se opera all’interno di un sistema di cooperazione con altri soggetti, mantiene sempre la responsabilità dei propri servizi e dei propri dati; 3. la cooperazione applicativa si attua sulla base di accordi tra le amministrazioni che intendono attuarla, sulla base di un fondamento normativo o istituzionale. Quindi ci saranno accordi, a tutti i livelli amministrativi, per assicurare che i vari procedimenti possano essere svolti in rete, realizzando “Domini di Cooperazione”, ovvero spazi virtuali all’interno dei quali attuare i procedimenti sulla base delle regole stabilite di comune accordo, e ricorrendo agli strumenti telematici che verranno resi disponibili dal SPC, ovvero i servizi di interoperabilità e di cooperazione e accesso (SICA). Una parte di tali strumenti verrà stabilita e gestita a livello centrale, dal CNIPA (livello generale), ed un’altra (livello secondario) potrà essere realizzata da qualsiasi Amministrazione, o anche da soggetti privati. L’obiettivo principale di questa rete delle PA è chiaramente espresso nel Codice: “Le pubbliche amministrazioni collaborano per integrare i procedimenti di rispettiva competenza al fine di agevolare gli adempimenti di cittadini ed imprese e rendere più efficienti i procedimenti che interessano più amministrazioni, attraverso idonei sistemi di cooperazione” (art. 63, c. 3). Si tratta dunque di arrivare ad offrire, a cittadini ed imprese, servizi fruibili direttamente on line. Il passe-partout per accedere alla rete del settore pubblico, e farsi riconoscere in maniera sicura, sarà la Carta Nazionale dei Servizi (art. 66), una smart-card con microchip, contenente la firma digitale di ciascun operatore pubblico, ma anche dei cittadini e delle imprese (queste ultime sono già da tempo obbligate a farlo) che vorranno avere accesso ai servizi in rete delle P.A. La firma digitale sarà dunque una delle tecnologie di base, per la realizzazione del sistema. La trasmissione di documenti tra amministrazioni sarà infatti valida, ai fini del procedimento amministrativo, solo in caso sia possibile verificarne la provenienza (art. 47). Ma non c’è solo la firma digitale, tra le tecnologie per consentirlo. Ci sono anche il protocollo informatico - non regolamentato direttamente dal Codice, e già obbligatorio dal 1° gennaio 2004 - e la Posta Elettronica Certificata (art. 48), che permetterà di spedire in maniera provata i messaggi e-mail. C’è poi l’importante questione dei dati, ovvero la materia prima del lavoro amministrativo. Essi devono essere formati, raccolti, conservati, resi disponibili e accessibili sempre utilizzando le ICT, in modo da consentirne la fruizione e riutilizzazione da parte delle altre pubbliche amministrazioni e dei privati (art. 50, c. 1) Non sarà così semplice, perché nella tradizione della pubblica amministrazione manca completamente una cultura della condivisione delle informazioni che faciliti tal compito. Però il passaggio sarà inevitabile, e su questo il Codice è perentorio: qualunque dato trattato da una pubblica amministrazione - salvo che per le funzioni di ordine e sicurezza pubblica, difesa e sicurezza nazionale, e consultazioni elettorali - e nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali, è reso accessibile e fruibile alle altre amministrazioni quando l’utilizzazione del dato sia necessaria per lo svolgimento dei compiti istituzionali dell’amministrazione richiedente, senza oneri a carico di quest’ultima (articolo 50, comma 2).
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